La ex ferrovia Sicignano–Lagonegro era molto più di un’infrastruttura: era una linea di vita che attraversava colline, borghi e vallate tra Campania e Basilicata. Costruita alla fine dell’800, sembrava un serpente di ferro che univa comunità isolate, permettendo alle persone di raggiungere mercati, città e sogni. E uno dei suoi punti più suggestivi era proprio Galdo di Sicignano, una fermata quasi nascosta, avvolta dalla natura, ai piedi degli Alburni.
Immagina il suono del treno che rompeva il silenzio del mattino tra i monti, e la piccola stazione che si animava con contadini, studenti, lavoratori. Poi, negli anni ’80, tutto si è fermato. Il traffico fu sospeso per lavori sulla linea principale… ma quei lavori finirono, e la Sicignano–Lagonegro no.
Oggi quella ferrovia è un binario interrotto nel tempo. Le rotaie sono spesso sommerse dalle erbacce, le stazioni abbandonate mostrano ancora targhe arrugginite e muri scrostati. Eppure, c’è una bellezza profonda in questo abbandono: è memoria viva, fatta di pietre, silenzi e vecchi segnali ferroviari che sembrano aspettare un fischio che non arriverà.
Galdo di Sicignano, in particolare, è un luogo che sembra uscito da un racconto: piccola, silenziosa, immersa nel verde, con la vecchia stazioncina che resiste tra gli alberi.
Negli anni si è parlato spesso di riaprire questa ferrovia, magari per scopi turistici, per collegare i borghi del Cilento e del Vallo di Diano con percorsi lenti e panoramici. Sarebbe un sogno ecologico e culturale: treni turistici a bassa velocità tra grotte, parchi naturali, cascate e ruderi.
Intanto, la ferrovia resta lì. Dorme. Ma non è morta. Ogni tanto qualcuno ci cammina sopra, ci fa trekking, la fotografa. E in questo modo, continua a viaggiare nei ricordi.
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