Palomonte Vecchio si distingue nel panorama dei borghi montani non solo per la sua bellezza aspra, ma per una peculiarità architettonica e urbanistica che lo rende un caso quasi unico al mondo. Non è un classico paese fantasma abbandonato a sé stesso, né un borgo antico completamente restaurato e omogeneo. Palomonte Vecchio è una stratificazione vivente, un "collage" in cui la città fantasma e la città rinata non si fronteggiano da lontano, ma convivono gomito a gomito, muro contro muro, strada contro strada.
Mentre in altre ghost town abbiamo visto che le nuove comunità sorgono ben distanti dalle rovine del passato – una "città nuova" che si sviluppa a valle o su un'altra collina, lasciando la "città vecchia" come un'entità separata e visitabile – a Palomonte Vecchio, questa separazione non esiste. Qui, il nuovo non ha preso le distanze; si è insediato direttamente tra le macerie, respirando la stessa aria e calpestando lo stesso suolo del passato distrutto.
Percorrere le sue vie è come sfogliare un libro dove ogni pagina racconta una storia diversa, ma tutte sono legate dallo stesso filo invisibile. Si può passare da un vicolo dove i tetti sono integri e le finestre decorate con vasi di fiori, sentendo le voci e i profumi di una vita quotidiana, a un portone spalancato su un interno vuoto e crollato, un cortile invaso dalla vegetazione selvaggia, testimonianza silenziosa del terremoto.
Questo connubio è ciò che lo rende un luogo incredibilmente potente: un palazzo con un lato completamente ricostruito e abitato, mentre l'altro lato è una parete scrostata che si apre su rovine. Un arco che unisce una casa moderna a un rudere, come un ponte tra due dimensioni temporali. È questa fusione in situ, questa inaudita contiguità tra ciò che è crollato e ciò che è stato ricostruito e riabitato, a fare di Palomonte Vecchio un esempio inimitabile di resilienza e coesistenza.
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