
Le cartiere di Acerno non erano semplici depositi di legname: erano vere e proprie fabbriche di carta, alimentate grazie all’abbondanza di acqua pura, legno e forza motrice offerta dai corsi d’acqua. Il legname veniva lavorato per ricavarne la pasta di cellulosa, poi trasformata in carta destinata anche agli uffici del Regno di Napoli.
Accanto alle cartiere, il territorio era coinvolto anche nella produzione di carbone vegetale: il legno veniva carbonizzato in apposite carbonaie per alimentare le ferriere, presenti nella rete industriale borbonica, in particolare nella vicina Valle del Sele. Le ferriere servivano alla lavorazione del ferro e alla produzione di utensili, armi e componenti per l’industria navale e militare.
Il complesso sistema economico che ruotava attorno ad Acerno e ai Monti Picentini rappresentava uno dei primi esempi di industrializzazione forestale del Sud, capace di unire risorse naturali, lavoro artigiano e visione statale sotto i Borbone.
le cartiere di Acerno rappresentano uno degli insediamenti industriali più antichi d'Italia, risalenti presumibilmente alla fine del XVII secolo o all'inizio del XVIII secolo.
Nel 1848, le due cartiere di Acerno impiegavano circa 30 operai e producevano 8.000 risme di carta all'anno, un volume significativo per l'epoca.
Oltre alle cartiere, la zona ospitava anche ferriere, una "valchera" per la lavorazione del lino con annessa tintoria, e una miniera di lignite.
Oggi restano solo ruderi, ma nei boschi si possono ancora scorgere tracce di questa storia: vecchi canali, mulattiere, e muri in pietra che raccontano un passato fatto di lavoro, fatica e ingegno.
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