Appena lo vedi spuntare, tra gli alberi e i profili delle colline, capisci subito che non è un posto qualunque.
È un luogo che emana un’aura antica, austera ma calda. Le pietre, scolorite dal tempo, raccontano storie di preghiere sussurrate, di passi scalzi sul freddo del chiostro, di vite spese in silenzio per qualcosa di più grande.
Costruito tra il XII e il XIII secolo, questo convento fu voluto da Caterina Sanseverino, una nobildonna che lasciò un segno profondo nella storia locale. Lo affidò ai frati Domenicani, e da lì cominciò un lungo viaggio spirituale e culturale che avrebbe attraversato secoli di storia, carestie, guerre, terremoti… e leggende.
Nel 1980, il terremoto dell’Irpinia devastò la zona.
Il convento non fu risparmiato.
Le mura si piegarono, i corridoi si spaccarono, e quel luogo così vivo cadde in un silenzio che dura ancora oggi.
Da allora, Santa Caterina è rimasta in piedi, ma ferita. Non si entra più. Il chiostro è vuoto, le stanze sono chiuse. Eppure, chiunque si avvicini lo sente: lì dentro c’è ancora qualcosa. Una forza, una memoria, un richiamo.
Dicono che, nelle notti di nebbia, si possano ancora sentire i passi dei frati.
C’è chi giura di aver visto ombre attraversare le finestre murate.
Leggende? Forse. Ma in luoghi così carichi di storia, la realtà e il mistero spesso si tengono per mano.
Camminare intorno al convento, oggi, è come entrare in un altro tempo.
Ogni muro sembra voler parlare. Ogni crepa custodisce una storia.
E ti ritrovi a chiederti: quante cose sono successe qui dentro che non sapremo mai?
Se passi da Ricigliano…
Fermati.
Anche solo per guardarlo da fuori, respirare quell’aria sospesa, lasciarti attraversare da un piccolo brivido.
Perché a volte non serve entrare per sentire l’anima di un luogo.
Basta ascoltare il silenzio.
Com’era fatto il convento
Al centro del convento c’era il chiostro, una corte quadrata con portici ad archi che serviva da punto di passaggio e meditazione. Qui i frati camminavano in silenzio, spesso recitando il Rosario o leggendo testi sacri.
Intorno al chiostro si affacciavano le stanze principali:
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Il refettorio: la sala da pranzo comune, dove si mangiava in silenzio mentre uno dei frati leggeva passi delle Scritture.
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La cucina: semplice ma funzionale, con un grande camino e vasche in pietra per lavare.
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I dormitori (celle): stanze spoglie, una per ogni frate, con un letto, un inginocchiatoio, e pochi oggetti personali.
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L’oratorio o la cappella interna: uno spazio raccolto per la preghiera quotidiana.
La chiesa
Adiacente al convento c’era la chiesa dedicata a Santa Caterina, dove si celebravano le messe, si accoglieva la comunità esterna e si svolgevano le liturgie principali. Qui c’era l’altare maggiore, alcune cappelle laterali e probabilmente affreschi oggi perduti.
Le aree di lavoro
I monaci vivevano del lavoro delle loro mani. Il convento disponeva di:
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Cantina: per conservare vino, olio e alimenti.
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Orto e giardino dei semplici: coltivavano erbe officinali e piante medicinali per curare i malati.
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Magazzini e depositi: dove venivano conservati cereali, legna, formaggi e strumenti agricoli.
Com’era la vita nel convento
I frati domenicani conducevano una vita ritmata da preghiera, studio e lavoro, secondo la regola di San Domenico, fondata su:
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Vita comune e povertà : nessuno possedeva nulla, tutto era condiviso.
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Studio e predicazione: a differenza di altri ordini, i domenicani erano anche intellettuali. Copiavano manoscritti, studiavano teologia, e talvolta viaggiavano per predicare.
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Disciplina spirituale: la giornata era divisa tra momenti di preghiera (sette al giorno), pasti frugali e lavoro nei campi.
Le celle: i dormitori dei frati
Come erano fatte?
Ogni frate aveva la sua cella personale: una stanza molto piccola, spoglia, con il minimo indispensabile per vivere e pregare.
Di solito conteneva:
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Un letto in legno o addirittura una tavola con un pagliericcio (materasso di paglia).
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Un inginocchiatoio per la preghiera personale.
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Una piccola scrivania o tavolino, se il frate era dedito allo studio.
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Uno scaffale o ripiano per libri sacri e oggetti personali (pochissimi).
Le pareti erano nude, bianche o in pietra, senza decorazioni. Non c’era riscaldamento: solo la fede e la coperta.
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