Tursi! Un piccolo gioiello incastonato tra i calanchi lucani, che sa sorprenderti come una vecchia storia dimenticata che, all'improvviso, ti viene sussurrata all’orecchio con passione.
E poi c’è la Rabatana, che non è solo un quartiere: è un mondo sospeso, un mosaico arabo-cristiano appoggiato su uno sperone di roccia che guarda il vuoto e ride del tempo che passa. Passeggiare lì è come scendere in un sogno polveroso, dove ogni pietra ti racconta di invasioni saracene, di frati e di contadini, di silenzi lunghi e voci che echeggiano ancora. Le case, molte delle quali abbandonate, sembrano stare lì per magia, aggrappate come le radici di un albero antico, mentre gli archi e i vicoli ti invitano ad andare sempre un passo più in là , quasi ti sfidano: "Hai il coraggio di scoprirci davvero?"
E poi eccolo lì, il Convento di San Francesco, che se ne sta elegante e austero poco più in basso, come un vecchio signore che osserva il paese da lontano ma con affetto. Risale al ‘400 e custodisce dentro di sé secoli di fede, arte e silenzi monastici. C’è una quiete speciale tra quelle mura, quella che si posa sul cuore più che sulle orecchie. Il chiostro interno, se chiudi gli occhi, ti fa sentire il rumore dei sandali dei frati che passavano lenti, assorti nelle loro preghiere. E poi affreschi, capitelli, altari: ogni dettaglio parla di mani sapienti e di un tempo in cui la bellezza aveva il ritmo lento del sacro.
Come in molti conventi francescani, era uso comune seppellire i frati all’interno del complesso stesso, spesso in aree specifiche del chiostro o in cripte sotterranee vicine alla chiesa. Questo non era solo un gesto pratico, ma profondamente simbolico: la vita e la morte dei religiosi dovevano restare ancorate al luogo della loro vocazione.
Nel caso del convento di Tursi, alcune testimonianze locali e ritrovamenti archeologici confermerebbero la presenza di ossari o fosse comuni, in particolare nelle aree adiacenti al chiostro o dietro l'altare maggiore. Alcuni esploratori urbani e studiosi locali parlano anche di lapidi o iscrizioni consumate, che un tempo segnavano i sepolcri dei frati defunti.
C’è chi sostiene che, dopo l’abbandono religioso, il convento fu usato come cimitero rurale anche per i contadini o per i poveri del luogo, ma questo resta più nel campo della memoria orale che dei documenti ufficiali. Tuttavia, è del tutto plausibile: luoghi sacri abbandonati venivano spesso riutilizzati in modo spontaneo dalle comunità vicine.
Tursi è questo: un intreccio poetico di luce dura, storia ruvida e bellezza segreta. Non è un luogo che si attraversa distrattamente. È un posto che ti resta dentro, che ti viene a cercare anche dopo che te ne sei andato.
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