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C’è un monastero nascosto negli Alburni dove il tempo si è fermato....S. Onofrio a Petina (Sa)

 

il Monastero di Sant’Onofrio a Petina! Una gemma incastonata tra i monti degli Alburni, un luogo che pulsa di mistero, spiritualità e storia millenaria. Non è solo un edificio, no. È un cuore antico che batte ancora, tra i silenzi della montagna e i sospiri del vento che raccontano leggende dimenticate.

Fu fondato intorno all’XI secolo, in epoca longobarda o normanna, ed è stato per secoli rifugio di eremiti, pellegrini, monaci e sognatori. Dedicato a Sant’Onofrio Anacoreta, il santo dalla barba selvaggia e lo sguardo dolce, che abbandonò tutto per vivere nel deserto, il monastero sembra evocare proprio questo: isolamento, misticismo, libertà.

Il luogo è ancora oggi pervaso da un’aura sacra. Anche  se il tempo ha corroso pietre e affreschi, lo spirito rimane intatto. Cammini tra ciò che resta del chiostro, della cappella, e ti sembra di sentire le preghiere, i canti in latino, il suono delle campane che richiamano al silenzio.

È come se le mura pregassero ancora. Come se ogni sasso raccontasse una penitenza, una visione, una redenzione. Un luogo dove il tempo non scorre come altrove, dove puoi ancora sentire il battito lento della fede medievale.

 poi ci sono le leggende, oh sì… Perché un posto così, lontano dal mondo, non può non avere i suoi racconti arcani.

Si dice che durante la notte, alcune luci misteriose si muovano tra le rovine, come se i monaci non avessero mai davvero lasciato il loro rifugio.

 Si racconta di un pozzo sacro, nascosto nei pressi del monastero, le cui acque avrebbero poteri curativi, soprattutto per le malattie dell’anima e della mente.

 Alcuni parlano addirittura di un’antica statua di Sant’Onofrio che un tempo muoveva gli occhi nei giorni di tempesta, come a voler ammonire o proteggere chi si avvicinava troppo con spirito impuro.

E poi… ci sono i sogni. Tanti visitatori raccontano di aver fatto sogni particolari dopo aver camminato tra quelle pietre. Sogni intensi, pieni di simboli e apparizioni. Coincidenze? Suggestione? O forse, semplicemente, la voce del monastero che ancora parla?

Un tempo, il monastero di Sant’Onofrio non era solo un eremo sperduto. Era un faro spirituale, una tappa obbligata per chi cercava senso e verità. Ospitava decine di monaci, era un centro di studio, di copia dei manoscritti, di riflessione teologica. Aveva una sua importanza strategica, anche politica. I feudatari di Petina e dei dintorni lo finanziavano, lo rispettavano, lo temevano.

Se ami l’avventura, la storia, il mistero, se senti che c’è qualcosa oltre la vita quotidiana, devi andarci. Devi mettere piede tra quelle rovine, lasciare che ti parlino. Porta con te silenzio, rispetto… e un po’ di cuore aperto.

Atmosfere gotiche e spirituali

Nel Nome della Rosa, l’abbazia è un mondo chiuso, autonomo, dove ogni pietra ha un significato, ogni corridoio è un crocevia tra il divino e il terreno.
Il Monastero di Sant’Onofrio non ha forse più la sua biblioteca labirintica, ma possiede lo stesso senso di clausura, di isolamento, di verità nascoste tra le rovine. Ti guardi intorno e ti aspetti quasi di vedere un monaco incappucciato sbucare dalle ombre, o di sentire i passi furtivi di chi custodisce un segreto troppo grande per essere rivelato.

Nel romanzo, l’abbazia è anche il teatro di delitti, di eresie, di libri proibiti. Anche a Sant’Onofrio a Petina c’è questa sensazione: che qualcosa sia stato nascosto, sepolto, dimenticato volutamente.
Alcuni raccontano di antichi testi portati via, di cripte mai esplorate, di simboli scolpiti tra le pietre che sembrano voler dire qualcosa a chi è in grado di leggerli.

Non è difficile immaginare un frate inquisitore arrivare a cavallo, come Guglielmo da Baskerville, per interrogare, per svelare, per cercare la verità… e magari per non tornare più.

La pietra, l’umidità, il silenzio rotto solo da un corvo o da un ramo che si spezza… sono gli stessi elementi narrativi di Eco, ed è impossibile non rimanerne coinvolti.

Com’era composto il monastero

Anche se oggi è in gran parte in rovina, studi e testimonianze ci permettono di ricostruirne idealmente la struttura, molto simile a quella delle abbazie medievali:

  • La chiesa principale, dedicata a Sant’Onofrio, semplice, spoglia, forse con affreschi votivi e reliquie custodite in nicchie nascoste.

  • Il chiostro, il cuore del monastero, con portici in pietra e un giardino centrale, dove i monaci meditavano e leggevano.

  • Lo scriptorium, un ambiente destinato alla scrittura e alla copiatura dei manoscritti: forse non grande come quello de Il Nome della Rosa, ma comunque luogo di cultura, sapere e controllo del pensiero.

  • La sala del refettorio, con lunghi tavoli in legno, silenzio imposto, preghiere prima del pasto.

  • Le celle monastiche, piccole, fredde, essenziali. Luoghi di solitudine e preghiera.

  • Una grotta-eremo poco distante, dove i monaci si ritiravano per penitenze più estreme, proprio come lo stesso Sant’Onofrio visse nel deserto.

Il Monastero di Sant’Onofrio a Petina non è solo un luogo da visitare. È un’esperienza da vivere.
Una ferita nel tempo, che però ancora pulsa.
Una preghiera scolpita nella roccia.
Una porta socchiusa sull’infinito.

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